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PASTICCIO PdR

26.4.09

inghiottiti dalle macerie

MARIA CORBI------>lastampa 9-4-2009 "Spoon River dei bambini inghiottiti dalle macerie"


Sedici bambini, ha detto Berlusconi. Sedici morti per il limbo, una Spoon River un po’ diversa, ancora più atroce, fra tutte le atrocità di questi giorni, come è atroce questo filo del dolore percorso senza luci e senza voci. Lungo le mura un po’ scrostate nelle rimesse auto e camion della Scuola dei Sottufficiali della Guardia di Finanza, dove hanno steso in triste sequenza i loro corpicini, per il riconoscimento. Molti vengono qui a piangere. I bambini non stanno mai soli. E molte di queste croci non sono sole, perché la morte li ha voluto prendere assieme a qualcuno che cercava disperatamente di proteggerli e di salvarli. Come Francesco Giugno, due anni: ha finito di vivere sotto le macerie della sua casa, nel centro storico dell’Aquila. Era assieme al padre e alla madre. Tra qualche giorno avrebbe avuto un fratellino. Andrea Esposito, 3 anni: abitava a Sant’Angelo in Abruzzo, e anche lui aveva le braccia della mamma che lo stringevano quando il terremoto li ha portati via. E’ rimasto il papà Stefano a piangerlo.
Adesso è in ospedale, e quando verrà fuori tornerà a Genova, dove c’è il nonno, che si chiama Andrea, come il nipotino. Anton Iovan, cinque mesi, romeno. Anche lui è morto senza destino, con papà e mamma. Stava a San Demetrio, duemila abitanti, e la nonna Daria ricorda che «lo avevano fatto battezzare nella chiesetta di Sant’Antonio». Quella notte era andato a dormire nel letto con la mamma, perché il papà russava. Ma il terremoto non ha avuto pietà di nessuno. Li ha sepolti tutti e tre sotto le travi del tetto. Ci sono pure bambini più grandi in questo elenco, bambini quasi fuori dal limbo, come Davide di 12 anni e Matteo, di 9, i due figli di Daniela. La signora Daniela ora è in una bara di legno chiaro. E i suoi figli sono accanto a lei. Ancora accanto a lei. L’hanno trovata che li proteggeva con il suo abbraccio. Daniela e i suoi figli erano al quinto piano del grande edificio di piazzale Paoli, ancora stesi sul lettone tutti e tre insieme, quando li ha uccisi il terremoto. La mamma li aveva presi con sé dopo la prima scossa, cercando di confortarli per la notte. Quando la scossa ha rotto la casa, lei ha solo continuato ad abbracciarli per proteggerli inutilmente dalla morte. Sedici croci piene dello stesso dolore. Alcuni sono morti di colpo, altri quattro - come specificano alcuni medici dell’ospedale di Aquila - soffocati dai calcinacci, come racconta Bernardino Persichetti, dirigente del reparto neonatologia dell’ospedale San Salvatore: «Ho tentato fino all’ultimo con altri colleghi, ma non ce l’ha fatta. Il più grande aveva tredici anni». Altri perduti dal destino, come quel bambino che era andato a casa dai nonni con la madre e aveva voluto fermarsi lì a dormire. Se restava con il papà, forse sarebbe ancora vivo come lui. E’ morto con la mamma. Morto come Francesco, di due anni, cercato sette ore sotto quello che restava della sua casa. Come Aleina la bambina inghiottita dalle rovine, soffocata fra le pietre e le lastre di cemento. E’ un tormento che scende nella valle, una spoon river sperduta lungo le curve e le risalite della statale 17, che va giù verso Paganica, Onna, San Gregorio. A Tempera, una croce è quella di Alessandro Cuffini, che papà Domenico non riuscirà più a smettere di piangere. Nella casa dei bambini abbandonati di Suor Ester, a San Gregorio, sono morti Angelo Livio Giuseppe. Altri ce l’hanno fatta, e uno non sa spiegare perché li ha scelti Nostro Signore. Nicolas è stato per cinque ore sotto le pietre. L’hanno salvato alle nove del mattino, come altri cinque, tutti ospiti dell’orfanotrofio dell’Immacolata Concezione. Il fatto è che ogni croce ha sempre il suo dolore. Non sempre ha la sua ragione. Poggio Picenze ha solo 400 abitanti e addirittura tre bambini che mancano. A Fossa, due bambine gemelle, russe, che erano venute a vivere qui da appena un mese sono state separate per sempre dalla crudeltà del terremoto. Una s’è salvata, l’altra è morta. Avevano tre anni, tutt’e due. Il tempo non darà una spiegazione neanche a Volbana Osmani, 12 anni, una piccola macedone che non l’aveva mai conosciuto prima e che viveva terrorizzata dal terremoto. Il padre Osman ha raccontato che l’altra sera, dopo la prima scossa, prima delle 23, non aveva voluto dormire nel suo letto e si era sistemata una coperta per stare assieme a lui e poi aveva anche chiamato i suoi due fratelli. Dopo un’ora loro erano tornati su con i genitori, lei invece è rimasta lì ed è la sola che è morta. «Non l’ho potuta aiutare», dice adesso piangendo. Senza lacrime. Ormai qui non ce ne sono più.

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